Dal 10 maggio Netflix ha aggiunto quello che dovrebbe essere un survival drama al suo catalogo: The Society, show di dieci puntate creato da Christopher Keyser e diretto Tara Nicole Weyr e Marc Webb. Le premesse della serie poggiano sul capolavoro di William Golding, Il signore delle mosche, nel quale dei ragazzini senza genitori sono costretti ad associarsi e a dissociarsi per sopravvivere, ma il risultato finale è più simile a Riverdale che a Lost. E forse addirittura a Il pifferaio magico.
Un viaggio in autobus
West Ham, una cittadina nordamericana dei giorni nostri è assediata da un cattivo odore di cui nessuno capisce le ragioni. Temendo che la fonte del problema possa avere natura tossica, la cittadinanza decide di spedire la sola (?) classe di diplomandi in gita in un parco nazionale finché la questione non sarà risolta. Dopo un breve viaggio interrotto da una frana che rende impossibile proseguire verso la meta, i ragazzi fanno ritorno a casa trovandola però deserta. Tutte le loro famiglie sembrano essersi volatilizzate nel nulla. Quando diventa chiaro che ogni via per uscire dalla città è impraticabile e ogni traccia di civiltà è irraggiungibile, i ragazzi dovranno organizzarsi per sopravvivere, affrontando questioni pratiche come il razionamento delle risorse e problemi politici ed etici per realizzare un utopico buon governo. Inizia un gioco di complotti e alleanze che rende ogni giorno più precario l’equilibrio tra i protagonisti.
The Society, un teen drama tra modelli economici
Nonostante le premesse siano interessanti, The Society resta ancorato ai canoni del teen drama. Già dal primo episodio il centro della narrazione è occupato dai soliti intrighi di amori e invidie di cui il genere non può fare a meno. Gli stereotipi adolescenziali fioccano a suon di battute imbarazzanti che suonano come una sequela di frasi fatte, tanto che il lato survival che dovrebbe essere centrale nella trama risulta eccessivamente diluito in questioni marginali sino al twist- questo sì, inaspettato- del terzo episodio. Da qui in poi fortunatamente il problema della sopravvivenza riprende spazio e i ragazzi cominciano a fare i conti con la dura realtà e le difficoltà di amministrarla. In particolare due sono le fazioni che si scontrano sull’organizzazione della comunità: quella capitanata dalle sorelle Pressman Allie e Cassandra (Kathryn Newton e Rachel Kelly), ispirate a un modello socialista fatto di razionamento di cibo e utenze domestiche, condivisione delle abitazioni e turni di lavoro collettivi; quella dei “capitalisti” e individualisti tra cui spiccano il privilegiato Herry (Alex Fitzalan) e il lupo solitario e psicopatico Campbell (Toby Wallace). Gli schieramenti non sono però così granitici, assumendo a volte i tratti della battaglia dei sessi, e molti saranno i rimestamenti delle carte, spesso guidati da desideri di ripicca personali.
Troppa carne al fuoco
Le intenzioni della serie sono evidentemente più ambiziose di quanto il risultato finale faccia ritenere. E’ evidente la volontà di trasmettere un sacrosanto messaggio ecologista, di porre modelli economici e sociali a confronto, di affrontare problemi etici tutt’altro che passati. Si cerca di esplorare gli effetti che il potere produce sulle persone, il significato della giustizia, il sottile confine tra sicurezza e repressione, e nonostante numerosi tentennamenti della sceneggiatura la serie riesce in questo intento ma aggiunge troppi altri spunti inutili e difficili da gestire con ordine. Oltre alle beghe sentimentali, a cui un certo spazio va comunque concesso, si sommano gravidanze, violenza domestica, indecisioni dall’esito prevedibile e scontato. E tutto questo materiale finisce per ridurre all’osso un altro importante quesito, che avrebbe meritato più dello scarso spazio concesso: cosa è successo ai ragazzi di New Ham e perché? Il finale aperto promette di rispondere in un nuovo capitolo, ma forse si sarebbe potuto dedicare più tempo alla questione, invece di sprecare minuti in stucchevoli, trite e ritrite storielle d’amore. In compenso, le tensioni e i problemi che si creano in seno alla comunità di ragazzi sono realistiche e convincenti tanto da poter assumere i tratti dell’esperimento sociale.
Un genere per gli adolescenti del nuovo millennio
Nel complesso The Society si lascia guardare, e i fan del teen drama apprezzeranno sicuramente la dimensione inedita in cui i canonici contenuti sono trasferiti, un po’ come per Baby e Le terrificanti avventure di Sabrina , secondo una formula che pare incontrare il gradimento del pubblico, e che può attirare anche spettatori più maturi. Infatti la serie è ben realizzata e curata nei dettagli e nel complesso riesce a mantenere un’atmosfera tesa e precaria nonostante le parentesi stucchevoli. Si rivela buona, al di là delle vicende concretamente narrate, anche la scelta di puntare sulla coralità. Oltre ai leader delle fazioni numerosi personaggi hanno occasione di imporsi e determinare nuovi esiti Lexie (Grace Victoria Cox), Luke (Alexander McNicoll) e infine anche Kelly (Kristine Froseth). Insomma alcuni buoni spunti sono presenti e auspicabilmente la seconda stagione potrebbe rivelarsi un’occasione per correggere il tiro.