Ogni artista che si rispetti crede fino in fondo in quello che ha dentro, lotta e si strugge per far si che la propria voce si erga sulla folla, arrivando anche a consumarsi del tutto. Il rapporto fra artista e società è quasi sempre di tipo contrastante. Da una parte la visione verso un qualcosa di inedito, di mai visto prima, e dall’altra un sistema che tenta sempre di capitalizzare e etichettare ogni cosa, di definire senza starci troppo a pensare, di categorizzare, inscatolare. In tutto ciò c’è un momento di rottura, un momento in cui tutto fluisce verso strade nuove, in cui la visione stessa dell’artista trova un piccolo spiraglio di luce e aria in questo sistema, allineandosi con i suoi bisogni, o generando essa stessa un bisogno che prima non c’era. Per far sì che ciò accada bisogna combattere, prestandosi a continui rifiuti e incomprensioni da parte del prossimo, arrivare allo stremo delle proprie forze sfidando ogni cosa, anche il tempo stesso e tutte quelle regole non scritte che ci vorrebbero tutti uguali, lungo la stessa strada, con i medesimi obiettivi e possibilità. Questo genere di riflessione è fondamentale nella lettura di Tick Tick Boom!, film da poco approdato nel catalogo Netflix in cui l’arte e la voglia di emergere in un mondo anche grigio la fanno da padrona all’interno di una storia che spezza letteralmente in due.
Un musical-documentaristico
Al centro di tutto troviamo il personaggio di Jonathan David Larson (interpretato da un Andrew Garfield magistrale), compositore e drammaturgo americano realmente esistito, celebre soprattuto per aver scritto il musical Rent, lanciato Off-Broadway il 25 gennaio del 1996 (anno in cui il suo stesso autore perse la vita all’età di 35 anni). In Tick Tick Boom! troviamo l’omonima opera di Larson in una sorta di adattamento pronto a mettere in luce non soltanto il talento stesso del suo autore, ma anche la sua stessa vita, la sua stessa anima. Il titolo stesso del film si riallaccia perfettamente alla sua voce, a quel ticchettio che perseguita continuamente il protagonista nel corso del suo viaggio. È una metafora tangibile del tempo che scorre inesorabile mentre Larson tenta con tutte le sue forze di sfondare come autore di musical.
Nel frattempo però tutto procede intorno a lui, le persone che conosce e ama vanno avanti e crescono, progrediscono lungo le varie scelte che la vita gli mette davanti. Lui è diverso però, lui vuole realizzare il proprio sogno e per farlo è disposto al sacrificio personale. Guarda il mondo da un’angolazione differente, dall’angolazione dei sognatori che camminano attraverso lidi differenti, su pianeti distanti e inafferrabili, intangibili alle persone comuni. Non razionalizza la propria esistenza fantasticando continuamente e spendendo le sue energie nella composizione della sua opera, di quella storia che finalmente lo condurrà al successo, alla fama senza limiti, trascinandolo via dall’appartamento spoglio in cui vive e dai tavoli che serve ogni singolo giorno.
Ad essere presa sotto esame, in questo Tick Tick Boom! non è soltanto la storia di un sognatore, ma il suo stesso approccio alla realtà, a questa realtà quotidiana che tenta continuamente di ricondurlo coi piedi per terra, di categorizzarlo in qualche modo, di imbrigliarlo in qualcosa, senza però mai riuscirci del tutto. Così il film si muove lungo i meandri di questi anni novanta in cui tutto corre inesorabilmente e nessuno ha tempo per nessuno. Sono anche gli anni in cui l’HIV continuava a mietere vittime, anche vicine al protagonista stesso.
L’incompatibilità col presente fusa a una sorta di trattato socio-esistenziale in cui vengono mostrate anche dinamiche del periodo e meccanismi del mondo dello spettacolo. Per sfondare Jonathan scrive, scrive e riscrive, riflette sulle sue scelte, prende alcuni appunti su un bloc-notes che si porta sempre dietro. Si tratta di frasi apparentemente fuggevoli che però gli accendono dentro qualcosa che soltanto gli spettatori possono vedere nell’immediato, in una narrazione che si fa continuamente descrittiva, introspettiva e lungimirante. A coronare il tutto la bohème ovviamente, la vita da artista senza un soldo, con “tanto in testa ma poco in tasca”, uno scapigliato da manuale che nutre le sue giornate d’immaginazione e speranze.
Tick Tick Boom! non è soltanto questo però, non è soltanto voglia di essere, ma anche disillusione. Dura, triste e amara. Emergere non è affatto facile e nel corso della propria vita ci si deve inevitabilmente scontrare con una marea di ostacoli per riuscire ad arrivare da qualche parte con le proprie forze. È proprio qui che il film incrementa il suono di questo particolare ticchettio facendolo diventare assordante e doloroso, ma sempre più vero.
Musica e arte
La musica è un elemento centrale in Tick Tick Boom!, rappresenta la voce interiore stessa del suo protagonista e si snoda lungo tutta la struttura di questo musical. Le varie canzoni che accompagnano gli eventi diventano immediatamente il mezzo principale attraverso cui i vari personaggi parlano, si esprimono ed esprimono agli spettatori il loro personale punto di vista. Tutto ciò funziona perfettamente senza risultare troppo stucchevole alle lunghe, data anche la base di partenza suddetta da cui tutto di origina. Alla regia troviamo Lin-Manuel Miranda alla sua prima esperienza, con una direzione costruita intorno ad una grande attenzione soprattutto allo specifico stato emotivo dei vari protagonisti. Ne fuoriesce un prodotto che sa come catturare l’attenzione (anche dei più profani), restituendo una storia avvolgente e struggente, violenta ma anche delicata, radiosa e sentita nel profondo. Nota d’onore anche per un Andrew Garfield che ci butta tutto sè stesso in questo personaggio, riuscendo a regalarci qualcosa di struggente e personale.