Tin Star, la serie britannica di Rowan Joffè con Tim Roth, giunge alla fine dopo 10 episodi trasmessi su Sky Atlantic, una fine che (secondo l’opinione di chi scrive) sarebbe potuta arrivare molto prima.
Ad attirare la curiosità iniziale verso questo thriller a puntate è stato sicuramente il nome del protagonista, Tim Roth, che ha fatto da pifferaio magico attirandoci nella trappola del primo episodio. L’attore è in genere una garanzia sia per la sua bravura indiscussa, sia per la lunga lista di film riusciti in cui ha recitato. Ma quando ci siamo resi conto dell’inganno ormai era troppo tardi. Si sa, quando si inizia una serie, nonostante non ci piaccia, la curiosità di vedere come finisce prende il sopravvento. Ed è stato solo questo a farci continuare la visione, perché Tin Star in ogni puntata ha confermato e incrementato la confusione e l’insensatezza della trama e dei personaggi.
A fare da sfondo alla storia è un affascinante paesaggio canadese, tra le montagne e i fiumi di una bellezza mozzafiato. E’ proprio qui che arriva Jim Worth, l’ex detective di polizia di Londra, diventando il nuovo capo della polizia di una piccola città tra le Montagne Rocciose.
Si trasferisce con la famiglia per iniziare il nuovo lavoro e una nuova vita, fuggendo da Londra e da un passato difficile. Ma proprio il passato torna a fargli visita in cerca di vendetta attaccando lui e la sua famiglia. Questo fa risvegliare il violento e alcolizzato alter ego di Jim, ovvero Jack Devlin, che si scopre essere stato un poliziotto infiltrato.
Dopo la morte del figlio più piccolo Jim-Jack inizia una caccia all’uomo per scovare i criminali ed ucciderli.
La trama di per sé non porta niente di innovativo, e questo poteva anche andare bene, la differenza l’avrebbe fatta il modo di raccontare questa storia che avrebbe dovuto fare leva soprattutto sui personaggi. Purtroppo non è stato così.
La serie ha puntato troppo in alto ed è caduta miseramente tra personaggi a tratti ridicoli e scene nonsense.
I cattivi spesso sono i personaggi più affascinanti di una storia, contorti, folli e crudeli, quelli di Tin Star invece sembra abbiano tentato di essere tutto questo ma senza riuscirci. Ad incutere terrore per la maggior parte del tempo è stato il protagonista, Tim Roth, tra le sue pazzie e ubriachezze moleste. Per non parlare della moglie, che alla morte del figlio si è rivelata essere una donna cinica e con istinto omicida, pazza abbastanza da uccidere un uomo e nascondere le prove dando fuoco alla sua casa. Poi c’è la figlia maggiore che deve affrontare una famiglia disconnessa, e neanche lei riesce ad uscire indenne da tutto questo. Si innamora nientemeno che dell’assassino di suo fratello, un ragazzo dai chiari problemi affettivi, che cerca disperatamente qualcuno che lo ami e che è afflitto dalla sindrome dell’abbandono.
Sia lui che gli altri sicari sembrano essere stati solo abbozzati, senza un minimo di profondità risultando stupidi e poco minacciosi. Una banda di criminali davvero improbabile e goffa che ne combina una dietro l’altra senza, inspiegabilmente, destare sospetti.
Purtroppo neanche Tim Roth ha saputo risollevare la serie, interpretando un personaggio verso cui è stato impossibile provare pietà. Jim Worth, nel suo continuo ricadere negli stessi vizi, maltrattare i suoi colleghi, e picchiare gente qua e là, risulta odioso e si fa protagonista di scene davvero poco credibili. Come del resto è stato impossibile provare empatia per qualsiasi altro personaggio.
La serie ha gestito molto male gli intrecci, le cospirazioni, la vendetta e gli omicidi, risultando a tratti assurda. Tirando le somme Tin Star, porta sullo schermo tanta violenza gratuita, bellissimi paesaggi, una colonna sonora interessante, e niente altro. Rimane una storia vista e rivista altrove ma realizzata sicuramente meglio e stupisce il fatto che sia stata già rinnovata per una seconda stagione.