Sono passati cinque mesi dal suicidio di Hannah Baker. L’ascolto delle cassette che raccontano i motivi del suo gesto ha cambiato la vita di tutti i suoi destinatari con conseguenze dal fortissimo riverbero. Tuttavia l’effetto a catena causato dal lascito di Hannah si rivela molto più complesso del previsto e il processo contro la scuola da parte dei Baker porterà alla luce risvolti inaspettati riguardo il passato di Hannah e la realtà della scuola che le ha indirettamente provocato la morte.
Questa seconda stagione di Tredici (13 Reasons Why) presenta un plot interessante che punta a colmare le lacune legate alla psicologia dei personaggi e alle relazioni che li lega, o che li ha divisi. La punta di diamante della serie resta comunque il messaggio di fondo trasmesso dai temi trattati, ovviamente senza nessun tipo di filtro per non attenuarne la gravità. D’altro canto rimangono i difetti già presenti nella prima stagione, difetti che risultano forse amplificati e di cui occorre discutere. Parliamo quindi dei vari pro e contro di una delle serie Netflix più chiacchierate dell’ultimo anno.
Punto e a capo
Dopo la confessione di Bryce estorta da un malandato Clay eravamo convinti che il riscatto per la morte di Hannah sarebbe stata una naturale conseguenza, come anche una maggiore consapevolezza da parte della scuola per ciò che riguarda il clima di terrore dovuto al bullismo presente alla Liberty High. Purtroppo le cose non vanno mai come si spera: il tentato suicidio di Alex ha creato una strana omertà nella scuola, trasformando l’argomento del suicidio in un tabù, Jessica non ha risolto affatto i suoi problemi legati alle violenze subite e Bryce e i suoi amici continuano a spadroneggiare nella scuola. Nonostante tutto, il processo alla scuola ha finalmente inizio e tutti i personaggi coinvolti nella vicenda verranno chiamati a testimoniare. Fin da subito ci viene fatto capire che avremo a che fare con un’immagine del tutto diversa del personaggio di Hannah, la quale apparirà per come è vista agli occhi di altre persone. Questo è un elemento molto interessante che infittisce la trama e inspessisce la caratterizzazione di tutti i personaggi.
La riapertura del capitolo “Hannah” ha indubbiamente un certo impatto su Clay, il quale fa di tutto per andare avanti, buttandosi a capofitto in una relazione con Skye. Hannah Baker è nuovamente una presenza piuttosto ingombrante nella testa del povero Clay. Occorre però esporre un piccolo inciso – tranquilli, niente spoiler – su come il ragazzo pensa l’amica morta. L’espediente utilizzato risulta oltremodo forzato se non addirittura ridicolo e decisamente poco originale, il che è un vero peccato perché, se studiato come si deve, avrebbe potuto essere un modo intelligente di esplorare la psicologia di Clay. Questo è il problema delle scelte audaci: possono risultare geniali o ridicole a seconda della riuscita. Inutile dire che gli autori, sotto questo punto di vista, abbiano miseramente fallito, mostrando quella che poteva essere l’incarnazione della nostalgia di Clay in qualcosa che risulta una sorta di schizofrenia mista a un qualche elemento soprannaturale, paurosamente fuori tono rispetto allo stile della serie.
Gli stessi personaggi sembrano aver subito una sorta di reset e occorrerà loro una bella dose di puntate prima che prendano effettivamente il via.
Sostanzialmente il difetto principale è lo stesso della prima stagione: una storia stiracchiata in una marea di riempitivi. Quello che più infastidisce della serie in generale è proprio nella palese consapevolezza che avrebbero potuto racchiudere tutto il materiale di entrambe le stagioni in una sola. La seconda stagione, infatti, manca di uno spessore di trama ma riporta elementi che sarebbero stati determinanti della stagione precedente, primo fra tutti l’atmosfera che si respira nella scuola. Di fatto, ciò che si è sempre criticato del personaggio di Hannah è l’esagerato catastrofismo di fronte ad alcuni screzi ricevuti dai suoi compagni e in più di un’occasione sembra tutto solamente frutto della sua immaginazione; e anche dopo aver ascoltato tutte le cassette, certe reazioni delle prime incisioni risultano oltremodo esagerate. Ora, invece, si capisce bene il panico della ragazza di fronte a certi atteggiamenti perché la Liberty High risulta effettivamente un luogo opprimente nel quale non ci si può permettere un passo falso. Probabilmente tutto ciò è voluto, ma se anche solo una parte di tale oppressione fosse trapelata già da prima, vi sarebbe stata più empatia con Hannah.
Passiamo alla regia. La prima domanda che sorge spontanea è: che accidenti è successo? Uno dei punti forti della serie era proprio la regia, non proprio perfetta ma con transizioni affascinanti e una colonna sonora a dir poco splendida che elevava al massimo particolari sequenze con grazia e intelligenza. In questa stagione risulta tutto più statico e tristemente “silenzioso” e le belle canzoni dei titoli di coda purtroppo non bastano. Fortuna vuole che le cose inizino a migliorare da metà stagione, sia registicamente che a livello di sceneggiatura, il che conferma l’idea che sarebbero stati necessari meno episodi.
Dettagli tecnici a parte, la vera forza di Tredici risiede nei temi che vengono affrontati: bullismo, depressione, suicidio, omicidio, stupro, misoginia, classismo, omofobia, omertà e violenza in tutte le sue forme. Prima di ogni cosa, questa è una serie di denuncia, non ha un valore didattico e fa scendere di mezzo gradino il valore del mero intrattenimento perché ciò che viene messo in scena è una rappresentazione della realtà odierna basata su degli effettivi fatti di cronaca, alcuni talmente scottanti e attuali da beccarsi un bel bollino rosso con tanto di briefing iniziale che sconsiglia la visione a un pubblico particolarmente sensibile. La maniera in cui vengono esposti argomenti tanto spinosi è forse l’unica vera ragione che fa meritare alla serie una chance di essere vista fino in fondo, mostrando una costellazione di punti di vista differenti di un sistema crudele dal quale è quasi impossibile uscire.
Nel bene e nel male
Da questo momento in poi ci saranno degli SPOILER, vi sconsigliamo quindi di continuare la lettura se non avete visto la seconda stagione di Tredici per intero.
Non si può fare a meno di parlare della fantomatica seconda puntata. Accettiamo tutto, qualsiasi scelta nosense dei personaggi, qualsiasi processo mentale incredibilmente stupido da parte degli adulti, ma quando Hannah “appare” in camera di Clay vien voglia di chiudere tutto, abbandonare la serie e disinstallare Netflix. La conversazione tra loro è oltre modo ridicola e Hannah sembra quasi uno di quei fantasmi che si accollano in quelle commediole di Serie B. Ciò che fa saltare i nervi è che il tutto, se scritto decentemente, sarebbe stato un espediente stupendo per impersonare la malinconia di Clay. Se i discorsi tra Clay e Hannah fossero stati una sorta di soliloquio a due voci nei quali lui parla consapevolmente da solo rivolgendosi però all’amica morta e le parole di Hannah fossero una palese personificazione dei pensieri di Clay, ci saremmo trovati davanti a degli stupendi momenti di riflessione. Magari l’intento degli autori era proprio quello, ma la verità è che ci troviamo, il più delle volte, di fronte a dei botta e risposta che non hanno senso di esistere. Andando avanti però il “fantasma” di Hannah sembra rientrare nei ranghi risultando più credibile, tuttavia fatica ad oscurare la pacchianeria della sua entrata in scena iniziale.
Altra apoteosi di stranezza è la possibilità che un tossicodipendente abiti a casa di Clay senza che i genitori se ne accorgano. Va bene che la storyline di Justin ci sia piaciuta, ma questo non giustifica l’immane stupidità dei genitori del protagonista.
Anche la storia tra Hannah e Zack sembra un po’ buttata lì e inventata di sana pianta per la stagione, d’altro canto spiega l’importanza del suo personaggio sulla storia di Hannah, in quanto sembrava un po’ strano che il semplice atto di rubarle i bigliettini e gettare via una sua lettera fosse una delle ragioni che l’avrebbero indotta al suicidio.
Comunque i lati interessanti non mancano. Molto bella l’evoluzione dei personaggi e lo sviluppo delle loro relazioni. Tuttavia la punta di diamante della serie rimane la denuncia, la cui portavoce è il personaggio di Jess, macchiata della colpa di non essere la “vittima perfetta” perché con la pelle scura, della classe media e sessualmente attiva, quindi perfetta per affibbiarsi l’etichetta “se l’era cercata”. La verità è che di Bryce Walker ne esistono parecchi, il cui status sociale diventa un’armatura inattaccabile protetta da un sistema che sembra impossibile da sciogliere. Il messaggio di fondo di Tredici è sostanzialmente uno solo: siamo tutti vittime. Sia i ragazzi bullizzati che i gregari dei bulli, come anche i bulli stessi, per certi versi, sembrano travolti da un vortice dal quale non possono uscire, nel quale ognuno è intrappolato nel proprio ruolo. La triste fine di Tyler ne è l’incarnazione prima di tutti. Se esiste un’unica vera ragione per continuare a seguire la serie è per le storie di questi personaggi, perché vale la pena di conoscerle, comprenderle e amarle.