Con Now Am Found si chiude la terza stagione di True Detective e con essa il caso Purcell. Il ritmo investigativo intrapreso ha subito una brusca frenata proprio in vista della fine, dedicata quasi tutta alle memorie, ai sentimenti, a quel che resta della vita di Wayne Hays.
Un malinconico happy ending
Nella scorsa puntata avevamo lasciato il Wayne del 1990 nell’auto di Ed Hoyt, che scopriamo essere un veterano stropicciato e alcolista con una triste storia familiare alle spalle, indissolubilmente legata a quella dei Purcell. Il ritiro di Wayne, determinato dall’ostruzionismo dei superiori e dalle minacce di Hoyt, ha posticipato, ormai a un passo dalla conclusione, la scoperta della verità di venticinque anni. Sono infatti i vecchi Roland e Wayne che, stanato finalmente Mr. June (o Watts), ascoltano l’intera storia. I fantasmi, i proprietari della berlina scura, gli amici di Julie erano proprio Isabel Hoyt, figlia di Ed, psichicamente disturbata per la perdita del marito e della figlia, e Watts, uomo di servizio che l’aveva aiutata a rapire Julie causando l’accidentale morte di Will. Tra un balzo nei ricordi e l’altro e soprattutto grazie al libro di Amelia, Wayne capisce (o immagina) che la ragazza non è morta come gli hanno fatto credere le suore presso cui aveva trovato rifugio una volta fuggita dal “castello rosa”, ma che è viva e felice, con una propria famiglia. Anche il vecchio detective, riconciliatosi nei ricordi con la moglie e nel presente con la figlia, vedrà riuniti tutti i suoi affetti, pur nell’ombra di un buio Vietnam. E la condanna a rivivere gli stessi dubbi e le stesse angosce fino alla fine.
Now Am Found: il vero oggetto della narrazione
Insomma, con buona pace di chi si aspettava un finale spettacolare come la serie sembrava promettere, le cospirazioni, i sospetti, i depistaggi erano in realtà sterili supposizioni. La dimensione domestica è sempre stato il luogo in cui trovare le risposte, tra le drammatiche perdite di due famiglie, una ricca e l’altra povera, che hanno commerciato affetto. La storia possiede senza dubbio una profondità, ma esce perdente nello scontro con il climax creato nel corso della stagione, e anche in parte con la coerenza della trama. L’eccessiva ostinazione della procura, le indagini di Elisa, la ritualità con cui si è presentato l’omicidio di Will, le bamboline vestite da sposa, tutto si è rivelato essere frutto di un malaugurato caso. A ben vedere gli indizi e le piste disseminate nel corso delle puntate si sono rivelate più interessanti della spiegazione rivelata in Now Am Found. Ma forse lo stesso autore della serie era più interessato ad approfondire un altro aspetto, diverso da quello strettamente legato al giallo. Se le analogie con la prima – ormai si può dire con certezza, inarrivabile – stagione sono tante, è evidente una grande differenza. Mentre i detective della Louisiana sono stati protagonisti di una storia molto equilibrata tra le indagini, costruite in modo da non lasciare al caso neanche il più piccolo dettaglio, e il lato umano della vicenda, in questa stagione i dolori di Wayne hanno preso il sopravvento su tutto il resto. Impossibile guardare al quadro indiziario senza una punta di delusione.
Cosa resterà di me e te, accanto alle foto e ai ricordi?
Nic Pizzolatto ha schierato in campo molte carte vincenti: una narrazione magnetica, protagonisti carismatici, atmosfere inquietanti, ma soprattutto è riuscito a narrare con grande maestria la fragilità umana, le difficoltà della vita familiare, il precario equilibrio delle relazioni. A ben vedere il caso Purcell è stato un pretesto per raccontare ben altro che un mistero irrisolto, e lo testimonia il lungo tempo che la narrazione si è concessa sviscerando la genesi di rimorsi e rimpianti attraverso accesi confronti, soprattutto tra Amelia e Wayne. Il messaggio che si è ripetuto in episodi come The Hour and the Day, citato nel finale, vale anche per il protagonista, che finalmente riesce a mettere da parte il lavoro e a vivere il proprio tempo, nonostante la malattia, che rappresenta l’imperitura condanna della condizione umana, di cui Hays si fa emblema. Ed è soprattutto a queste riflessioni che ci lascia Now Am Found. Il vecchio Wayne, dopo il lungo peregrinare in cerca di risposte in quello che credeva essere il più grosso dubbio irrisolto della propria vita, viene infine appagato da quello che gli resta, i propri cari. Forse è questo che vuole suggerirci la scelta di far dimenticare al vecchio poliziotto il motivo della visita a Greenland proprio mentre è di fronte alla verità che sembrava essere la sua ragione di esistere.