Cinema e serie tv a confronto con la trasposizione della vicenda Getty, un argomento che ha trovato il suo posto sia sul grande che sul piccolo schermo, prima con Tutti i soldi del mondo di Ridley Scott ed ora con Trust, la nuova serie diretta da Danny Boyle nonché la sua prima volta in televisione.
Il 10 luglio 1973 venne rapito a Roma John Paul Getty III, allora erede della Getty Oil, a Roma dalla ‘ndrangheta. I rapitori chiesero un riscatto alla ricca famiglia a cui faceva capo il potente nonno, conosciuto come inflessibile ed avaro, restio a pagare la somma richiesta.
Un fatto di cronaca conosciuto ai più, e per chi ancora non ne aveva mai sentito parlare Tutti i soldi del mondo ha potuto colmare questa lacuna. Trust nonostante riporti in campo una storia già vista, si lascia guardare e sa come incuriosire. Danny Boyle e Simon Beaufoy, già colleghi con The Millionaire, trovano il loro modo di raccontare, si potrebbe dire, la loro verità riguardo alla storia che inevitabilmente si va a confrontare con il film di Scott. Due modi diversi di raccontare la stessa famosa vicenda, due punti di vista e due realizzazioni completamente diverse, a partire dal format seriale di dieci ore contro le due del film.
Veniamo accolti nel lussuoso e sfrenato universo Getty messo in scena da Boyle, fatto degli eccessi tipici degli anni ’70, fiumi di alcool, sesso, droghe, una colonna sonora di tutto rispetto che va dai Pink Floyd ai Rolling Stones, e scene di impatto che ci fanno subito capire quale sarà la linea dell’intera serie.
Almeno in questa prima puntata l’attenzione è incentrata sulla figura del nonno, che già a prescindere chiamava gli occhi a sé visto l’attore che ne veste i panni. Donald Sutherland dà il volto all’austero e avaro J. Paul Getty, il magnate del petrolio e padre padrone, odiato e temuto dalla sua stessa famiglia. E’ lui che tiene le redini del gioco e mentre si divide tra il suo harem, la sua passione per l’arte e i suoi affari, tutti gli altri sembrano essere pedine infelici che faticano a trovare il loro posto.
L’unico che fa brillare una luce di speranza nei suoi occhi, come erede dell’impero, è il nipote John Paul Getty III, interpretato dal giovane inglese Harris Dickinson. I riflettori dunque si sdoppiano e vengono puntati anche sul ragazzo che irrompe tra le mura della maestosa residenza inglese del nonno con tutta l’esuberanza della sua giovane età. La spensieratezza, l’ingenuità e la spavalderia cozzano con il mondo fatto di bugie, invidia e odio che permea ogni singola pietra e cellula di quella casa. Gli anni ‘70 si reincarnano nella figura del nipote: magliette scolorite, jeans consumati e capelli lunghi e ribelli sono in totale antitesi con i rigidi outfit che delineano le figure dei Getty. Questo è il mondo dal quale il giovane Paul ha sempre cercato di fuggire, ma problemi di droghe e debiti lo spingono a tornare in quella triste realtà e chiedere aiuto a quella famiglia che ha sempre disprezzato.
Dalla magnifica residenza inglese, negli ultimi minuti del pilot, si viene catapultati in una suggestiva notte romana. La capitale illuminata dalle fioche luci notturne, con i suoi monumenti e la sua storia è messa in bella mostra in quei pochi attimi di ripresa. Ed è proprio sotto la luce soffusa dei lampioni che il giovane viene rapito dalla ‘ndrangheta. La facilità con cui si concede nelle mani dei suoi rapitori è la rassegnazione al suo destino o avvalora la tesi di un piano premeditato per estorcere soldi al nonno?
Solo una puntata per attirare lo spettatore a guardare una storia che già (probabilmente) conosce e convincerlo a proseguire la visione per 10 settimane. Simon Beaufoy e Danny Boyle sembrano essere riusciti nell’impresa perché Trust intriga, incuriosisce e coinvolge. La prima puntata sa essere un’esca convincente e ci fa ben sperare per quello che accadrà dopo.