Giunti al termine della prima stagione di Trust, scritta da Simon Beaufoy e diretta da Danny Boyle, non possiamo far altro che complimentarci con i creatori che coraggiosamente hanno messo su piccolo schermo una vicenda presentata al cinema pochi mesi prima con Tutti i soldi del mondo di Ridley Scott. Il fatto che si sia già a conoscenza della storia non rovina il piacere della visione di un prodotto comunque ben confezionato a livello visivo, fotografico, musicale e attoriale.
Il regista, famoso per film cult come Trainspotting o 28 giorni dopo, riesce a far trasparire la sua firma d’autore anche in questo suo primo prodotto televisivo.
Il rapimento Getty
La vicenda, per chi non la conoscesse, è quella del giovane John Paul Getty III (Harris Dickinson), nipote del miliardario John Paul Getty, fondatore della Getty Oil Company, rapito il 10 luglio 1973 dalla ‘ndrangheta a Roma. Nonostante fosse molto ricca, la famiglia esitò a pagare il cospicuo riscatto a causa dell’avarizia del nonno (interpretato da Donald Shutterland). Gli autori hanno fatto valere la teoria secondo la quale sia stato proprio Getty Junior a proporre, inizialmente, agli strozzini il suo rapimento per poter ripagare con il riscatto i suoi debiti.
La storia viene indagata sotto numerosi punti vista che hanno permesso così di approfondire la vicenda e tutti i protagonisti scesi in campo. Dal nonno intransigente ed avaro, alla sua famiglia in rovina, alla madre addolorata ma tenace (Hilary Swank), al giovane spensierato ed ingenuo poi rapito, al maggiordomo Bullimore, alla realtà della mafia calabrese. La voce fuori e dentro il campo è di Brendan Fraser, interprete del pittoresco texano capo della sicurezza, che nell’ultima puntata ci ricorda che ogni azione ha le sue conseguenze e che sul finale di questa storia non ci sarà scritto di certo “vissero tutti felici e contenti”.
Una serie americana che profuma d’Italia
La caratteristica predominante dello show è il fatto che sembra quasi strano definirlo un prodotto americano perché l’italianità è una presenza preponderante. Gran parte del film è stato girato a Roma o nelle campagne calabresi, in Basilicata ed in Valle d’Aosta. Una grande fetta del cast è di casa nostra a partire da Luca Marinelli e Giuseppe Battiston, e la maggior parte dei dialoghi sono in dialetto o in italiano. L’Italia è un elemento molto importante di Trust, visto che Paul Getty è stato rapito e tenuto sotto sequestro per cinque mesi nel Bel Paese. Le location sono molto suggestive e la serie diventa una finestra che affaccia su quell’Italia degli anni ’70 che fa da sfondo alle vicende.
A fronte di tutto ciò non si può far altro che consigliare di vedere la serie in lingua originale per poter apprezzare le battute in italiano degli attori stranieri e le barriere linguistiche tra un mondo e l’altro.
Un cast di tutto rispetto e un’importante colonna sonora
Il risultato è stato di grande impatto, soprattutto per la scelta di un cast niente male. Un plauso particolare va a quella parte di cast italiano che ha tenuto la maggior parte delle puntate, Luca Marinelli in primis che riprende un ruolo a lui congeniale, il folle e cattivo bandito della ‘ndrangheta, che riesce a gestire anche questa volta alla grande. E poi ovviamente Donald Sutherland, il nome più importante dello show che ha interpretato un cinico vecchio avaro e privo di sentimenti, protagonista di un poetico e artistico epilogo finale. Da nominare anche Brendan Fraser che ha prestato il volto ad un personaggio alquanto pittoresco e macchiettistico, dal modo di vestire a quello di parlare, a cui è stato dato il compito di smorzare i toni a tratti troppi tesi dello show.
Una parte fondamentale della serie è sicuramente la colonna sonora. Si parte con il rock aggressivo e trasgressivo tipico degli anni ’70 che profuma di forza, onnipotenza e sregolatezza con i Pink Floyd e i Rolling Stones, e che introduce al dorato mondo dei Getty marcio però al suo interno. Piano piano la componente italiana si fa strada con Prisencolinensinainciusol di Celentano quando l’occhio della camera si sposta a Roma. Fino ad arrivare alle sonorità popolari e vecchie di canzoni italiane che rispecchiano il mondo contadino della campagna calabrese.
Interessante anche la fotografia e la scelta dei colori, visibili nella scena della consegna del riscatto dove predomina (anche per scelta dei rapitori) il colore bianco, realizzando una sequenza davvero bella visivamente. E altrettanto incisiva è stata la scena finale dove invece a dominare è il color oro, richiamando il mito di re Mida che trasformava in oro tutto quello che toccava, una triste metafora di John Paul Getty I che si ritrova a fare i conti con le conseguenze delle sue azioni.
Trust: Basta una stagione?
Trust è stata pensata in formato antologico, i creatori hanno spiegato che il progetto prevede almeno altre due stagioni che continueranno a raccontare le vicende della famiglia Getty. A fronte di questa prima stagione ci si sente appagati da quanto visto e dal finale amaro della triste vicenda, e non viene la curiosità di sapere altro al riguardo. Viene da pensare che altre stagioni risulterebbero eccessive, ma non possiamo far altro che aspettare e vedere cosa hanno in programma i creatori.
Trust è un buon prodotto, che mostra una chiara impronta stilistica: è di grande impatto visivo e ha saputo contare su un cast di tutto rispetto. Si lascia guardare dall’inizio alla fine senza mai mollare la presa, catturando il pubblico con trovate davvero molto interessanti.