Se pensavamo di aver visto tutto della follia narrativa di Lynch e Frost in questo revival di Twin Peaks, beh, ancora non avevamo assistito a The Return – Part 8. La puntata si scardina completamente da ogni possibile canone televisivo, non che prima fosse stata convenzionale, ma con questa ottava puntata varca ogni confine verso l’astrattismo e il trascendentale, creando qualcosa di mai visto prima.
Non è facile per tutti seguire le pretese narrative dello show, non è una storia facile da raccontare o da spiegare, e sicuramente i non amanti del genere o del regista faranno fatica ad apprezzare questo stile. Ma a Lynch questo non sembra interessare. Se nella prima storica stagione la serie ha sempre strizzato l’occhiolino ad un pubblico più vasto con elementi crime e thriller, adesso a briglia sciolta i creatori ci consegnano qualcosa di rivoluzionario per la televisione.
È difficile riassumere quanto visto ma proviamo fare un punto della situazione.
Per una frazione di secondo abbiamo creduto che il malvagio Cooper fosse morto, ma mentre stavamo per tirare un sospiro di sollievo, ecco che appaiono delle entità evanescenti della Loggia Nera che lo riportano in vita sotto i nostri occhi. A quanto pare il male vuole a tutti i costi che il doppelganger rimanga vivo e sappiamo quindi che non ce ne libereremo tanto facilmente.
Da qui ci spostiamo alla Roadhouse dove si esibiscono sul palco niente di meno che i Nine Inch Nails. Ebbene sì la grande band americana guidata dal front man Trent Reznor, prende parte allo show. La band in realtà non è estranea ai set lynchani infatti nel 1997 scrissero la colonna sonora per Strade Perdute. A differenza delle puntate precedenti, questo stacco musicale, non è uno scivolo finale verso i titoli di coda, ma funge da spartiacque perché le scene seguenti ci portano in un’altra dimensione.
New Mexico, 16 luglio 1945, le immagini dell’esplosione della bomba atomica per i test nucleari riempiono lo schermo. Per 10 minuti buoni rimaniamo ipnotizzati e sconvolti da una sequenza senza logica apparente, ma di una grande potenza visiva. Sembrerebbe non avere senso tutto questo, la spiegazione non è immediata, ma se facciamo uno sforzo interpretativo realizziamo di aver assistito all’origine dell’intera mitologia di Twin Peaks.
È così che Lynch decide di raccontare la creazione dell’eterno dualismo, del bene e del male, ovvero della Loggia Nera e di quella Bianca. Sappiamo che le entità della Loggia Nera si nutrono della Garmonbozia, ovvero il male, e sicuramente la bomba atomica potrebbe rappresentare l’esempio più lampante della malvagità umana. L’orrore, il caos, le musiche inquietanti, la paura dominano la scena. Ma così come nasce il male in contrapposizione nasce anche il bene. Il Gigante, la donna che accoglie una luce e un globo dorato rilasciato nel mondo in cui si scorge il volto di Laura Palmer, la predestinata, sono la risposta al Male. A livello narrativo rimane comunque tutto molto confuso come anche quella strana rana-insetto che entra nella bocca di una giovane ragazza di sessant’anni fa.
Diciotto episodi per una serie di nicchia come questa sembrava un po’ strano, ma se esistono altre puntate come questa si spiega il motivo. Lynch si è voluto prendere tutto il tempo per raccontare, confondere, spiegare, stupire e alienare lo spettatore senza dover sottostare a stretti regimi televisivi. I ventisei anni di attesa hanno fatto in modo di aumentare la curiosità dei fan e di crearne di nuovi, molti infatti solo ultimamente si sono avvicinati alla serie. L’eco di ritorno si sapeva sarebbe stato clamoroso, così come il successo quindi, anche se forse non è mai stata una preoccupazione, il problema dell’audience non è mai esistito. La libertà espressiva di Lynch e Frost ha così potuto sfogarsi senza riserve. Questa puntata ne è un esempio, stilisticamente, concettualmente e visivamente la più bella dell’intera serie, forse apprezzabile da pochi ma oggettivamente unica.