Una Notte di 12 anni (la Noche de 12 años) è il film di Alvaro Brechner presentato nella sezione Orizzonti della 75A Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia. Uscito il 9 gennaio a Roma e il 10 gennaio nel resto d’Italia, in pochissime sale, il film ha avuto un’anteprima stampa, prima del rilascio, a Circuito Cinema (Roma) con annessa confererenza del regista. Durante tale conferenza, dopo la visione, si è avuto modo di ascoltare le intenzioni dell’autore, ben evidenti già dalla visione del film.
La lunga notte
Realizzato con la partecipazione di molte case di produzione tra cui Haddock Films, Moviestar +, e Netflix (dove di recente abbiamo visto Mowgli e Birdbox), il film racconta l’incarcerazione di tre esponenti del movimento rivoluzionario Tupamaros in Uruguay nel 1973: José “Pepe” Mujica (lo straordinario Antonio De la Torre), Eleuterio Huidobro (Il fantastico Alfonso Tort) e Mauricio Rosencof (il bravissimo Chino Darín). Su questi tre personaggi si regge tutto il film, basato esclusivamente sui dodici anni, in cui l’esercito dell’Uruguay, tentò di torturarli, cercando di far perdere loro il senno. I protagonisti vengono spostati di carcere in carcere, cambiando costantemente cella e non potendo parlare né tra di loro né con gli altri militari. L’unica via d’uscita che gli rimane è la fantasia, l’ultima delle libertà.
Claustrofobia
Il film ci porta in cella con i personaggi, la regia cerca di essere più attiva possibile. La pellicola si apre con una panoramica a 360° dell’ultimo carcere dei protagonisti, ma continua con carrellate, macchina a spalla, soggettive da sotto le bende dei personaggi. Il mondo come una persona libera lo concepisce, con questo film, acquista un doppio valore, dato che percepiamo una claustrofobia asfissiante ogni volta che si cambia carcere. La fotografia cerca di mantere dei toni freddi e piatti cercando di mimetizzare i protagonisti con le mura della cella. Il montaggio è serrato, concede pochi attimi di romanticismo o sentimentalismo (ma quando lo fa si piange sul serio). Brechner (Il regista) ha rivelato, durante la conferenza, di essersi basato principalmente sul lato esistenziale della vicenda, lasciando sullo sfondo la politica e la storia. “È più un film sull’uomo che sulla dittatura” afferma l’autore, raccontando aneddoti sui suoi incotri con i veri Mujica, Rosencof e Huidobro.
Catarsi e Catabasi
Possibile che un film di 122 minuti si basi solo sul periodo in carcere? Certo, c’è spazio per dei flashback in cui vediamo come i protagonisti vennero catturati, vediamo i loro sogni di libertà, sfuggendo all’orrore di quell’inferno dantesco. Non a caso, il regista ha creato un’atmosfera infernale evidenziando una scritta sul muro sulla cella di Mujica “Lasciate ogni speranza o voi ch’entrate“. Brechner parla di Catarsi, sia dello spettatore nei personaggi, sia degli attori nelle vittime della vicenda. I tre protagonisti, infatti, hanno perso circa quindici chili a testa e hanno lasciato molto all’improvvisazione sul set (De La Torre ha un’improvvisazione di 38 minuti). Al centro del film vi è il sogno di una catarsi, nella libertà e in un mondo interiore all’incoscio, solamente per resistere. Questo dovevano fare: Resistere. I protagonisti lottavano per la libertà dell’Uruguay, per la resistenza contro la dittatura militare. In seguito, in prigione, dovranno lottare per la resistenza della propria ragione. Quello che otterranno oltre alla Catarsi, è la Catabasi, letterale, all’inferno.
A riveder le stelle
Nel viaggio all’inferno, tra la storia, la regia, la musica (magnifica di Federico Jusid) con una leggendaria cover di The Sound of Silence di Silvia Pérez Cruz, c’è quindi del bello, inteso come bellezza? Sì, perchè il film ha attimi di ironia, ha momenti di alta speranza in cui i protagonisti dialogano tra loro attraverso piccoli colpi sul muro, (addirittura giocano a scacchi), scene in cui le guardie riveleranno del lato umano, in cui finalmente qualcuno rivedrà il cielo stellato. Ma questa dolcezza ha un sapore amaro, che scende in gola di chi osserva la prigionia con estrema pietà. I protagonisti sono angeli scambiati per diavoli e l’unico paradiso è dentro di loro.
Come ha detto Brechner, il film, “se ti porta ad empatizzare con l’altro aiuterà a capire di più te stesso.” I tre protagonisti non possono essere uccisi perhé dovranno servire da esempio agli altri Tupamaros. Allora, che si spezzino. Tuttavia, il film non mostra il tracollo, bensì la forza di volontà di tre individui, tre essere umani, che conoscevano la libertà e lottavano per essa da molto prima di esserne privati.