La Sony continua a provarci fortissimo. Orfana di uno Spider-man che è finito nel Marvel Cinematic Universe, la casa statunitense sta provando ad esplorare tutto il contorno di personaggi che il Testa di Tela ha portato al mondo. Questa è la volta di Venom, simbionte alieno che arriva sulla Terra e conscio del proverbio “Quando sei a Roma, fai come i romani” ecco che in realtà lui decide di farsi umano. Più o meno. Cioè, diciamo che si unisce ad un umano. Insomma c’è Tom Hardy che fa Venom.
Eddie Brock è un giornalista, o almeno è quello che vogliono farci credere. Trovatemelo voi un giornalista col fisico di Tom Hardy. Dicevamo. Tom Hardy è un giornalista sopra le righe e sfacciato, che crede, forse troppo, in quello che fa. Un’occasione professionale ghiottissima lo catapulta in una spirale autodistruttiva e, come ogni personaggio fumettistico che si rispetti, questa situazione è motivo di rinascita per lui.
Spregiudicato e assolutamente in parte, Hardy si cimenta in un compito difficilissimo: rendere interessante un film da solo quando tutto ti rema contro. Perché se volessimo stringere al massimo la cinghia di questo Venom potremmo dire che l’unica cosa che funziona è l’uomo che ha fatto vendere i biglietti. Ad Hardy va riconosciuto il merito di crederci tanto, ma non al punto di essere ridicolo. Ci crede e ci fa credere che ci crede. E forse abbiamo usato troppe volte il verbo “credere”.
Un altro grande pregio del film è sempre affidato alle virtù dell’attore britannico, che dialoga in maniera esilarante con la sua controparte gelatinosa. Tanti scambi di battute che scaturiscono risate davvero sincere. Purtroppo però, un Tom Hardy che ci crede non fa primavera ed il film in questione si barcamena tra cliché e cose già viste (fatte malino) fino ad un finale che forse lascia ben sperare per il futuro.
Le intenzioni del Venom di Ruben Fleischer, in realtà, non sono neanche male, è la realizzazione che gli tarpa le ali: una violenta botta di PG-13 (film consentito dai 13 anni in su) porta il livello della violenza su livelli innocui, con qualche smembramento (senza sangue), qualche decapitazione (senza sangue) e qualche rissa (senza sangue). Insomma, il reparto effetti speciali ha dovuto solo cospargere di sudore le felpe di Hardy. Vi basti pensare che Benvenuti a Zombieland, dello stesso regista, a confronto è un film per adulti (che infatti era Rated R, ma vabbè).
Un altro limite enorme del film sono le figure che si alternano al fianco ed intorno ad Eddie/Venom: un concentrato di niente riempito ad arte. Antagonisti posticci e dimenticabili, insieme a co-protagonisti altrettanto vacui, si gonfiano di ego il petto senza mai farsi ricordare.
Ma forse la colpa più grande di un film da oltre 100 milioni di dollari risiede negli effetti speciali. Uno scontro finale ingiustificabile per i mezzi messi a disposizione dalla moderna tecnologia. La colpa grave risiede nel non riuscire a fornire ad un protagonista interamente costruito in computer grafica una resa degna di questo nome.
La mano di Fleischer è fin troppo tremolante nelle scene che contano, unendosi ai problemi sopracitati, crea un mix di problemi non facilmente ignorabili.
La sensazione è quella di una grande occasione sprecata, perché molti degli elementi necessari (ma non sufficienti) alla realizzazione di un bel cinecomic c’erano. Purtroppo però un protagonista carismatico ed un film che non si prende sul serio non bastano.
La Sony c’ha provato tantissimo, ma non è andata.
Nota a margine: è caldamente consigliata la permanenza dopo i titoli di coda.