Con L’Enigma della Fenice l’appuntamento settimanale con Westworld torna ad essere veramente intenso. Dopo un episodio abbastanza sui generis per la serie, con molta azione e dai toni lievemente più scanzonati, si torna agli esordi con una puntata che incarna pienamente lo spirito enigmatico della serie scritta quasi interamente dal genio delle sceneggiature mindfucking Jonathan Nolan.
Se non avete ancora visto la puntata L’Enigma della Fenice NON procedete nella lettura, l’articolo contiene SPOILER.
L’Enigma della Fenice segue due principali filoni narrativi, quelli di William e Bernard, lasciando momentaneamente da parte le due protagoniste femminili, Maeve e Dolores.
Nello scorso episodio abbiamo lasciato Bernard ferito e prossimo al collasso del sistema, trascinato via dalla strage istigata da Dolores da un’inconsapevole Clementine. Viene lasciato proprio da lei davanti a una grotta al cui interno ritroviamo un personaggio che pensavamo fosse morto circa a metà della precedente stagione: la programmatrice Elsie. Tenuta prigioniera da Bernard stesso, manovrato da Ford, Elsie è inconsapevole di tutto ciò che è successo nel parco fino a quel momento. Ma il luogo dove Bernard l’ha incatenata, a quanto pare, non è casuale. La grotta infatti è l’ingesso di un laboratorio a cui i due accedono seguendo i confusi flashback che si alternano nella mente di Bernard, spinto dalla necessità di essere guarito/aggiustato da Elsie. Il laboratorio custodisce quello che è stato il più grande segreto dello stesso William il cui filone narrativo in questo episodio si alterna fra un poco coinvolgente presente e un interessante passato, fatto di sperimentazioni su una cavia umana con cui ha un’importante connessione: suo suocero ed ex capo della Delos.
I due archi narrativi intrecciano quindi strettamente le trame, portando lo spettatore a scoprire un piccolo tassello del puzzle alla volta, attraverso una serie di flashback di entrambi i personaggi, accompagnando infine alla stessa inquietante conclusione e sollevando il velo su uno dei tanti misteri che il parco custodisce.
Puntata, come dicevamo, dai toni diversi rispetto alla precedente, che faceva appello alla parte di pubblico più interessata all’azione e a nuovi scenari (come l’introduzione di nuovi parchi), che si contrappone al carattere più introspettivo di questo episodio, in cui torna a spiccare il tocco di Nolan, nel modo in cui magistralmente si srotolano i vari eventi, che nello scorso episodio (scritto da Roberto Patino e Ron Fitzgerald) era venuto a mancare. Ci ritroviamo nuovamente immersi fino al collo nell’enigma che il parco personifica, di nuovo in un labirinto nel quale si sa quando si entra ma non si sa quando – e soprattutto come – se ne uscirà.
Parallelamente a questa ricerca della verità seguiamo ancora il viaggio dell’Uomo in Nero, uno William anziano, disincantato e indurito dalle sue stesse scelte di vita, che pur avendo già trovato ciò di cui era alla ricerca nella precedente stagione, continua ad essere in uno stato di perenne insoddisfazione, ancora in competizione con Ford, il quale, anche dopo la sua morte, ha lasciato come briciole di pane una serie di criptici messaggi per lui, che gli vengono trasmessi da diverse attrazioni. In questa puntata sembra intravedersi uno stralcio di umanità dal parte di questo personaggio ormai totalmente negativo dopo l’incredibile evoluzione che ha subito nella prima stagione. Questo accenno di bontà si rivela però solo un suo piegarsi a quello che è il gioco di Ford, per riuscire a trovare nuovamente il bandolo della matassa. Non sembra però essere ancora sulla buona strada. Infatti, in chiusura dell’episodio, una delle attrazione gli lancia l’ennesimo criptico avvertimento: “If you’re looking forward you’re looking in the wrong direction”. Ed è proprio con l’incarnazione di un passato da cui ha tentato di estraniarsi in tutti i modi che si ritroverà faccia a faccia alla fine di questo episodio magistrale scritto e diretto.