Westworld 3 si è concluso. Dopo due anni di attesa Jonathan Nolan e Lisa Joy sono tornati con il loro stratificato sudoku di carne sintetica e tecnologia super avanzata. Questa volta però, invece di aprire i cancelli del familiare parco divertimenti in cui tutto è concesso, ci hanno gettati in mezzo a una delirante visione sci-fi sovraccarica di macchine robot e inseguimenti in automobile alla Michael Bay, tra le grinfie di dèi elettronici e oscuri segreti industriali. Il finale è giunto, e con esso il momento di toglierci l’espressione “F4” (basita, secondo la lectio di Boris) dalla faccia e tirare le somme. Seguono spoiler.
Westworld 3 o spin-off?
Lo scorso finale di stagione, la fuga dal parco di Dolores, (una granitica Evan Rachel Wood), ha portato una rottura definitiva con il passato della serie. Abbiamo rinunciato ai campi, ai canyon, ai personaggi del vecchio west, ma questo terzo capitolo dello show ha troncato di netto con qualcosa che va al di là del semplice contesto e che si riflette benissimo nel cambio di scopo di Dolores. Credevamo che la guerriera volesse distruggere la razza umana e donare il mondo ai Residenti, confinati nel Sublime fino a nuovo twist, e invece questo progetto si trova a passare- paradossalmente- per la salvezza degli uomini e il dono del libero arbitrio. Un’aporia non del tutto giustificabile e meno interessante dell’alternativa. Ma allora nuovo mondo, nuove regole? Non proprio.
Nolan e Joy utilizzano il pretesto fornito da una società ultramoderna e distopica, ma non troppo implausibile, in cui il destino di ciascun essere umano è calcolato da una macchina, Rehoboam, in grado di prevedere ogni futuro possibile ed evitare che gli umani siano la causa della propria drammatica fine. Dolores dovrà quindi vedersela con il proprietario-accolito della macchina, Engerraud Serac, interpretato dal raffinato e agguerrito Vincent Cassel. Ecco progettata una scientifica matrioska di parchi, androidi e dèi: Westworld è la replica della società umana, gli uomini sono sottoposti allo stesso destino degli androidi e alla volontà di una specie superiore, un duplice esemplare di intelligenza artificiale in grado di decidere della fine di ciascuno. Insomma, non si esce mai veramente dal parco.
Tanti muscoli e poco cervello
In Westworld 3 gli showrunner sembrano essersi nascosti dietro il tormentone del libero arbitrio per mantenere l’apparenza della profondità intellettuale che ha contribuito al successo della prima stagione dello show, ma il trucco non riesce. La libertà di scelta, continuamente scomodata senza il minimo sostegno filosofico e la poesia a cui eravamo abituati, viene banalizzata nella forma di secca e ridondante alternativa. Sei tu a compiere le tue scelte o è la macchina a scegliere per te? Rispondi a te stesso o al programma ? Pillola rossa o pillola blu? E via sulle note di questo adagio in otto episodi, intervallato da una decisa svolta action lanciata a 200 km orari ai quattro angoli del pianeta, in cui Dolores è in pratica un deus ex machina in grado di calcolare in anticipo ogni mossa dell’avversario e vincere sempre. La cornice tecnica è comunque degna del grande schermo, con buoni effetti speciali, una fotografia resa interessante ed esteticamente pregiata grazie al design e alle architetture d’avanguardia con cui l’obiettivo gioca continuamente.
In tutto questo l’elemento veramente interessante non è rappresentato né dal bidimensionale personaggio di Aaron Paul, né dai decisamente sviliti Bernard (Jeffrey Wright) e Maeve (Thandi Newton), né dal percorso mentale suggestivo quanto poco utile al fine ultimo della narrazione di Will (ottimo Ed Harris), ma dalla svolta di Dolores-Hale. La bravissima Tessa Thompson riesce a condensare in otto puntate l’evoluzione raggiunta dalla propria gemella in due stagioni. Le copie di Dolores realizzano una materiale frammentazione dell’Io, ed ecco che tra tutti i cloni fedeli alla propria visione, Dolores-Hale finisce per ribellarsi come la figlia del fattore stanca di stupri e morte. Prevedibile, ma promettente. Sarà questa vendicativa creatura la villain della quarta stagione, decisamente più fedele all’anima originale del personaggio. Un’ulteriore riprova del fatto che, di qualunque natura esso sia, dio deve morire se la specie vuole vivere. Dolores è morta, lunga vita a Dolores!
Come lacrime nella pioggia
In conclusione questo Westworld 3 si è dimostrato confusionario, pur se tecnicamente ineccepibile, incapace di trarre ancora qualcosa di veramente nuovo dalla maggior parte delle proprie creature. Il filone di idee sembra essersi esaurito, e in molti aspetti la trama assomiglia a un patchwork di rimandi ai film di genere fantascientifico, soprattutto Matrix, Ex Machina e Terminator, con un finale che richiama persino Fight Club. La nobiltà di Blade Runner, che lo show aveva saputo così finemente sviluppare, ha perso di impatto e profondità nel momento in cui ha abbandonato la metafora dei droidi per essere applicata al mondo umano, assorbendo gli input visti ed esasperanti sul destino dell’umanità ormai inflazionati nella narrazione cinematografica. Un ultimo stralcio di poesia lo conserva la morte dell’eroina, che ripone le speranze nella bellezza, ma qui sta la prossima sfida. La pars destruens è sempre facile, ma cosa ci riserverà la ricostruzione, il futuro di una serie ormai completamente trasformata?