Per il suo esordio alla regia Paul Dano ha scelto la storia di Joe Brinson, un ragazzo del Montana impotente davanti alla separazione dei genitori: ecco a voi Wildlife.
Jeanette e Jerry, due giovani genitori della provincia americana degli anni ’60, vanno d’amore e d’accordo finché Jerry non perde il lavoro come insegnante di golf in un country club. Nonostante Jeanette cerchi di stargli vicino e lo incoraggi a cercare un altro impiego, Jerry, orgoglioso e inspiegabilmente testardo, prima rifiuta il vecchio lavoro, poi si incolla sul divano fino a data da destinarsi. Jeanette sostiene la famiglia facendo l’istruttrice di nuoto e incoraggia il marito a rimettersi in sesto. Lui dice che non se ne è scordato, che appena avrà riscaldato abbastanza la poltrona lo farà, e un giorno decide di partire come volontario per andare a spegnere un enorme incendio che sta distruggendo la foresta vicina. La separazione fisica allontanerà ancora di più la coppia, tra rabbia e ripicche varie.
La storia del cinema è piena di splendidi drammi familiari: da Ingmar Bergman a Woody Allen, da Paolo Virzì a Ettore Scola, tanti grandi autori li hanno raccontati in modo meraviglioso.
Il dramma familiare, come pochi altri filoni, è in grado di raccontare il generale attraverso il particolare, di mostrare i vizi e le virtù del mondo tramite una manciata di personaggi. Quando la storia non sceglie una direzione esatta, finisce come in Wildlife di Paul Dano.
Oliver Twist non stava poi così male
Il protagonista sembrerebbe il giovane Joe, che invece il pratica ha lo stesso potere decisionale di uno spettatore in sala. Non si tratta per forza di un errore. Un protagonista passivo è rischioso, va maneggiato con cura, ma Zoe Kazan e Paul Dano, autori della sceneggiatura, sembrano non esserne consapevoli. Il povero Joe finisce in una serie di situazioni tanto improbabili quanto imbarazzanti senza che lui faccia o possa farci nulla. I genitori, amorevoli e privi di macchie prima della loro grande crisi, perdono totalmente il senno dopo la separazione, trascinandosi appresso il figlio nelle situazioni più insensate. Il punto di vista del figlio è l’unico del film, come scelta non è stata l’ideale visto che in questo modo le azioni dei genitori risultano esagerate e al limite del ridicolo.
Se nel prologo fossero chiari i segni di un equilibrio saldo solo in apparenza, il percorso dei personaggi sarebbe più chiaro ed esatto. Sembra piuttosto che i problemi della coppia non fossero affatto chiari a chi scriveva, e che sia stato trovato un pretesto X per far “sbroccare male” i due protagonisti (si perdoni il romanesco, ndr). Ora, la fotografia potrà essere bella, la regia ricercata, gli attori eccellenti e chi più ne ha più ne metta, ma se chi scrive non ha presente cosa sta raccontando, lo spettatore avrà presente in modo imperfetto cosa sta guardando.
Note non dolenti
La provincia del Montana negli anni ’60 è un ambiente molto interessante, poco noto al cinema, rappresentato con colori neutri ma limpidi. Viene raccontato con uno sguardo originale, che riesce a spaziare dai campi medi o lunghi ai primi piani con disinvoltura, senza manierismi o eccessi. Degne di nota la scena finale e quella dell’incendio, girate con sensibilità e onestà. Paul Dano ha giustamente un occhio di riguardo per gli attori, intorno alle cui performance ruota l’intero film. Gyllenhaal e Mulligan sono furiosi e fragili, a seguirli quasi si dimenticano gli scivoloni della storia. Quasi. Il giovane Ed Oxenbould, già visto in The Visit di M. Night Shyamalan, ha una parte che gli permette poco di spaziare oltre alle espressioni addolorate e disorientate, ma è comunque azzeccatissimo per il ruolo.
Wildlife ha vinto il premio come miglior film al 36° Torino film festival. Sicuramente è un film da vedere, con tutti i suoi difetti, su cui tanti sono riusciti a passare sopra o non hanno notato. A ciascuno il suo.