Pochi giorni fa l’attesissimo Star Wars: Gli ultimi Jedi è finalmente approdato nelle sale italiane, suscitando le più disparate reazioni degli spettatori, che vanno dalle più sperticate lodi alle più accese critiche. Dopo la nostra recensione di qualche giorno fa, rigorosamente senza spoiler, abbiamo deciso di proporvene un’altra qualche giorno dopo l’uscita al cinema, potendo così scendere nel dettaglio di ciò che ha funzionato e di quello che non ci ha convinto dell’ottavo capitolo di una delle saghe più conosciute e apprezzate della storia del cinema.
Se non avete ancora visto Star Wars: Gli ultimi Jedi e non volete conoscerne i passaggi più importanti siete caldamente invitati a fermarvi qui e a non proseguire la lettura. Il resto della recensione contiene significativi dettagli della trama; statene alla larga se non volete incappare in fastidiosi spoiler.
Distruggere per andare avanti: la recensione di Star Wars: Gli ultimi Jedi
Dopo le atmosfere familiari e spielberghiane di Star Wars: Il risveglio della Forza, di grande successo commerciale, ma aspramente criticato da molti per l’eccessiva aderenza di J. J. Abrams alle dinamiche narrative della trilogia classica, Rian Johnson compie un’operazione diametralmente opposta. Il regista si distacca completamente dal passato più o meno recente per portare il nuovo corso Disney in territori impervi e inesplorati, ma anche indubbiamente affascinanti. Fin dalla prima scena contenente una conversazione audio fra il Generale Hux e Poe Dameron dai toni inaspettatamente comici e grossolani, intuiamo il coraggioso processo di rottura e demitizzazione portato avanti in questo ottavo capitolo, che, al di là delle legittime opinioni personali, segna oggettivamente una svolta profonda e irreversibile nella saga.
Rian Johnson gioca con le aspettative del pubblico e con i punti di riferimento dei fan, prendendosi rischi che nessuno ha mai corso in tutta la saga e portando a casa un risultato ben lontano dall’essere perfetto, ma forte di almeno 3 sequenze da antologia e di un’aura di rinnovamento potenzialmente esplosiva per le casse Disney. Questa però è risultata indigesta a chi ha visto crescere sotto i propri occhi questa grande epopea moderna e i suoi eroi, per poi vederli prendere strade inaspettate e per certi versi dolorose.
Emblema di questo cambiamento è certamente Luke Skywalker, il collante fra la trilogia classica e quella attualmente in corso, che avevamo lasciato intento ad osservare la nuova eroina Rey, con uno sguardo a metà fra timore e sorpresa, negli ultimi secondi di Star Wars: Il risveglio della Forza. Con la prova attoriale più importante della sua intera carriera, Mark Hamill ci consegna un eroe stanco e disilluso, afflitto dai suoi errori e dalla progressiva perdita di fiducia in tutto ciò in cui aveva creduto. Un’icona decaduta, indelebilmente segnata dalla perdita del suo nipote e allievo prediletto Ben Solo, finito a rinforzare le fila del Lato Oscuro sotto il nome di Kylo Ren. Un cavaliere per cui non esistono più bene e male, Jedi e Sith, rassegnato a un solitario esilio e a un lungo oblio, ma costretto dal destino e dalla Forza a tornare sul campo per istruire e addestrare Rey, nuova speranza del Lato Chiaro e ago della bilancia nel distruttivo conflitto fra Primo Ordine e Resistenza.
Star Wars è morto, viva Star Wars: il cambiamento e la rivoluzione di Star Wars: Gli ultimi Jedi
La sua spada laser lanciata via in modo quasi sacrilego, come a sottolineare la totale rottura con il passato, traccia il solco di un Luke che forse non eravamo pronti a vedere, simbolo dello scorrere del tempo, con i suoi inevitabili cambiamenti. Ed è proprio sul concetto di cambiamento che Star Wars: Gli ultimi Jedi poggia le sue basi, stravolgendo le radici della saga e ricostruendo sulle macerie del passato la sua storia, con palpabile e sincero rispetto per ciò che è stato, ma con la testa rivolta a un indecifrabile e inafferrabile futuro. Un difficile quanto necessario ricambio generazionale, messo in scena in modo ardito e del tutto personale da Rian Johnson, non senza qualche passaggio capace di fare storcere il naso anche al più positivo e ottimista dei fan.
Uno degli aspetti più controversi dell’ottavo episodio della saga è sicuramente un’abbondante e non sempre centrata ironia, concentrata soprattutto nella prima parte del film. Ci riferiamo non solo al già citato dialogo fra Hux e Poe, ma anche e soprattutto ad alcuni passaggi dell’addestramento di Rey, più vicini per toni a Balle Spaziali o a Guardiani della Galassia (per restare in casa Disney) che alla solennità dei momenti più importanti di un’epopea lunga ormai 40 anni. Un approccio radicalmente diverso rispetto al passato, che di pari passo con le parole di Yoda, protagonista di una breve ed emozionante comparsata sotto forma di Fantasma di Forza, ci dice che c’è un modo diverso di vivere e raccontare le storie di quella galassia lontana lontana, forse meno rigoroso ed epico, ma non per questo sbagliato o immeritevole. Star Wars è morto, viva Star Wars, per parafrasare una scena importante del film.
Dal punto di vista della struttura narrativa, Rian Johnson riprende ed esaspera la struttura de L’Impero colpisce ancora, affiancando al racconto dell’addestramento di Rey con il suo mentore Luke l’approfondimento dei conflitti interiori di questi ultimi e del sempre più convincente villain Kylo Ren e la meno efficace riorganizzazione della Resistenza contro la crescente minaccia del Primo Ordine. Il risultato è un film che nella fase centrale viaggia a due velocità, sospeso fra gli avvincenti dialoghi a distanza fra Kylo e Rey, entrambi desiderosi di portare l’altro dalla propria parte, e le non altrettanto appaganti avventure di vecchi e nuovi protagonisti della Resistenza come Leia, Poe, Finn, Rose, sullo sfondo di immancabili battaglie stellari realizzate con la consueta accuratezza tecnica e scenica.
Star Wars: Gli ultimi Jedi e il pericoloso triangolo Luke-Rey-Kylo
Nonostante il soddisfacente apporto di due guest star d’eccezione come Laura Dern e Benicio del Toro, rispettivamente nei panni dell’enigmatica Holdo e dell’inquietante esperto di codici DJ, le storyline incentrate sui leader della Resistenza appaiono decisamente forzate e mai del tutto soddisfacenti. Il Finn di John Boyega, fra le note più liete di Star Wars: Il risveglio della Forza, perde gran parte della propria forza in una poco incisiva avventura con la new entry Rose, capace di lasciare solo il debole spunto narrativo dei poteri forti instauratisi in questo nuovo ordine della galassia e solo parzialmente controbilanciata dall’evocativa ultima performance di Carrie Fisher (a cui viene dedicato il film con un toccante omaggio sui titoli di coda) e dall’approfondimento del testardo e carismatico personaggio di Poe Dameron, a cui ci auguriamo venga concesso uno spazio ancora maggiore nel capitolo conclusivo di questa nuova trilogia. L’avventura di Finn, Rose e DJ e il confronto interno fra Poe, Leia e Holdo intrattengono comunque a dovere, ma a conti fatti dimostrano una volta di più che il cuore del film stia da un’altra parte.
Di tutt’altra pasta il triangolo Luke-Rey-Kylo, capace di mettere in luce virtù e debolezze dei tre personaggi più importanti del film. La giovane e sempre più potente Rey si ritrova così stretta fra due fuochi, in bilico fra il rispetto e l’ammirazione per il mito Luke Skywalker, a sua volta intimorito dai poteri della sua nuova allieva, e la morbosa e apparentemente inspiegabile connessione con Kylo, dalla quale emerge un quadro sempre più sfumato e complesso delle forze in gioco. Proprio in questa fase apprendiamo infatti di un evento fondamentale per le sorti della galassia, ovvero l’improvviso e incontrollato raptus di paura e violenza che ha portato il maestro Jedi sul punto di uccidere il suo allievo e nipote Ben, sempre più attratto da Snoke, con la conseguente ribellione di colui che oggi si fa chiamare Kylo Ren. Una rivelazione epocale, che getta un’ombra sull’eroe senza macchia che avevamo conosciuto nella trilogia classica, rendendolo imperfetto, corruttibile, ma paradossalmente anche più umano. Un risvolto nodale della storia, in grado di farci addentrare maggiormente nella nebulosa psiche di Kylo, magistralmente caratterizzato da un eccezionale Adam Driver.
L’adrenalinico terzo atto di Star Wars: Gli ultimi Jedi
Fra picchi di grande intensità, come l’emozionante ricongiungimento di Luke e Yoda e lo struggente ritorno del maestro Jedi a bordo del leggendario Millenium Falcon, e qualche sconfortante caduta di stile, come la sequenza in cui assistiamo a Leia spostarsi nello spazio a braccia tese, con un risvolto della Forza che sfiora la parodia involontaria di Superman, Star Wars: Gli ultimi Jedi procede spedito verso l’atto conclusivo, creando la giusta enfasi e la necessaria attesa per l’inevitabile confronto fra Kylo e Rey e la sospirata rivelazione sulle origini della giovane mercante di rottami. Rian Johnson cambia marcia, coniugando abilmente tradizione e innovazione e centrando almeno 3 colpi di scena di grande impatto e tutt’altro che scontati.
Con un esplicito richiamo a Il ritorno dello Jedi (alcune battute dei due film sono sovrapponibili), Star Wars: Gli ultimi Jedi mette a confronto Rey con i due signori del male intenzionati a portarla dalla propria parte, Kylo e il Supremo Leader Snoke, proprio come accadde a Luke con Darth Sidious e suo padre Darth Vader 34 anni fa. La tensione è alle stelle, la messa in scena pressoché perfetta; non resta che capire se e quale dei due protagonisti rivedrà le proprie posizioni. Sorprendentemente, ad avere la peggio è proprio il mentore di Kylo Ren, colpito a morte dal suo allievo nel modo più banale, degna conclusione di un personaggio deludente e convincente solo a pochi secondi dalla sua fine.
Ma le emozioni non sono finite, perché il fu Ben Solo non ha nessuna intenzione di rimpolpare le fila della Resistenza, ma cerca invece di convincere Rey ad affiancarlo al comando del decapitato Primo Ordine. La mossa per ottenere la fiducia della giovane è di quelle più subdole e spietate, ovvero la tanto attesa rivelazione sull’identità dei suoi genitori. Rian Johnson si prende gioco del pubblico e di mesi di elucubrazioni dei fan, svelando che queste due persone non erano importanti, ma solo due derelitti che hanno venduto la loro stessa figlia per un misero tornaconto. Una mossa a metà fra la rivoluzione e la furberia, che permette al regista di esplicitare il messaggio secondo cui chiunque può essere sensibile alla Forza e sfruttarne i poteri, lasciando al tempo stesso un piccolo spiraglio per eventuali colpi di scena futuri (ricordiamo che fu lo stesso Obi-Wan Kenobi a mentire, o meglio rivelare “da un certo punto di vista”, la verità su suo padre a un giovane Luke). I due più grandi misteri del nuovo corso della saga, ovvero l’identità dei genitori di Rey e l’origine di Snoke, si trasformano così in una gigantesca bolla di sapone, con una scelta che può certamente infastidire e fare gridare al raggiro, ma che mostra anche quanto l’opinione e l’aspettativa del pubblico siano al giorno d’oggi influenzabili dai rumor del web.
Star Wars: Gli ultimi Jedi e la morte di Luke
Con Rey in fuga verso i propri amici e quello che resta della Resistenza ricompattato sul pianeta di Crait ha luogo il confronto finale fra Primo Ordine e le forze del bene, che per ambientazione e mezzi in campo riecheggia l’epica battaglia di Hoth del già citato L’Impero colpisce ancora. Fra sacrificio, disperazione e speranza, alla ribellione resta solo un asso nella manica, ovvero il redivivo Luke Skywalker, tornato dal suo esilio volontario per uno struggente ultimo saluto alla sorella Leia e per la resa dei conti con il nipote. Attraverso un potere della Forza inedito nella saga, ovvero qualcosa di simile al teletrasporto, Luke si sacrifica per il bene comune, affrontando il suo ex allievo a viso aperto per creare un diversivo ai membri della Resistenza superstiti.
Nel modo più dolce ed eroico possibile arriva così la fine di un’icona e di un’epoca, enfatizzata dalle memorabili musiche di un sempreverde John Williams. Allo spettatore non resta che asciugarsi le lacrime nel buio della sala, guardando quel vecchio ragazzo sempre più interessato a ciò che gli sta intorno che a quello che gli succede dentro spegnersi serenamente, davanti a quei due soli che avevano dato vita a una delle più grandi storie mai raccontate sul grande schermo. Muore l’uomo, ma rimane la leggenda, che continuerà a risuonare ai 4 angoli della galassia e a ispirare generazioni future di eroi, come il bambino fedele alla Resistenza e dotato di evidenti poteri a cui spetta l’onore di chiudere Star Wars: Gli ultimi Jedi.
Star Wars: Gli ultimi Jedi e la fine di un’epoca
Dopo aver preso e piegato a proprio piacimento la mitologia della saga, Rian Johnson rimette Star Wars nelle mani del pubblico e del suo predecessore e successore J. J. Abrams, al quale toccherà l’onore e l’onere di dirigere il capitolo conclusivo di questa trilogia. Star Wars: Gli ultimi Jedi ci consegna una galassia in divenire e completamente rivoluzionata e un gruppo di giovani eroi pronti a raccogliere il testimone di coloro che li hanno preceduti, ma soprattutto la consapevolezza di essere di fronte alla fine di un’epica avventura lunga 40 anni, che lascia spazio a qualcosa di incerto, precario e inedito, ma non per questo meno interessante. Una staffetta generazionale che coinvolge in prima persona anche il pubblico più maturo, a cui spetta il difficile e doloroso compito di accettare la perdita e il cambiamento e di accompagnare i più giovani nel futuro ancora da scrivere di questa gloriosa saga. Quei bambini che nel 1977 sognavano davanti allo schermo sono maturati e cambiati, forse anche inariditi dal tempo e dalle difficoltà della vita, ma Star Wars: Gli ultimi Jedi ci ricorda che altri sono pronti a prendere il loro posto e a puntare una scopa verso le stelle sognando epici duelli, principesse da salvare e terribili nemici da sconfiggere.